Apparentemente sembrano tre colline ma l’osservazione satellitare svela qualcosa di più enigmatico. Base, lati e pendenza di queste strutture geologiche sono identiche, situazione alquanto impossibile in natura. Esse sono, se pur ricoperte di terra e vegetazione, tre piramidi a gradoni, con stesso orientamento e con un’inclinazione massima di 43/44 gradi.
Ci appaiono così come le ha scoperte nel 2001, durante un’osservazione aerea, l’architetto Vincenzo di Gregorio, nella loro altezza 40/50 metri nel Parco Regionale di Montevecchia (il nome deriva dal latino Mons TAEGIA, monte Fiaccola, ovvero funzione del luogo di avvistamento) e della Valle del Curone in provincia di Lecco, i cui studi hanno saputo faticosamente ricostruire la storia dei monumenti riportando diverse risposte all’enigma: chi e perchè le ha costruite?
La glaciazione
Nella preistoria i ghiacci provenienti dalle Alpi non hanno mai solcato questa valle. Grazie alla sua conformazione che ne ha deviato il corso è rimasta un’oasi verde circondata dal freddo della glaciazione. Un luogo ottimale in cui le popolazioni locali hanno potuto rifugiarsi. Non sappiamo se le piramidi esistevano già o furono costruite in seguito, dato che è impossibile attribuirgli una datazione in quanto bisognerebbe effettuare scavi approfonditi, campagna di difficile attuazione in quanto si necessitano prove ancora più schiaccianti, anche se la regione Lombardia si sta finalmente attivando in merito.
Fatto certo è che qui sono stati ritrovati i resti umani del più antico insediamento preistorico lombardo, risalenti al 60.000 a.C., motivo che ha portato la zona ad essere “area protetta”, divenendo il parco regionale che oggi conosciamo. Forse già se ne intuiva il valore?
Piramidi non costruite ma “modellate”
Secondo Di Gregorio un’antica civiltà avrebbe modellato le colline di roccia calcarea formandone i gradoni che possiamo intravedere oggi. Ciò sarebbe stato realizzato a scopo religioso-astronomico e non per finalità agricole dato che il terreno proprio per la sua struttura non può essere coltivato. L’ente parco ha chiamato l’intera zona “dei prati magri” per indicare la difficoltà di coltivazione agricola del terreno.
Ipotesi queste non casuali ma frutto di anni di intensi studi da parte di astrofisici e archeologi. Lo staff di esperti ha effettuato diverse misurazioni molto precise con l’ausilio di attrezzi utilizzati in archeo-astronomia e astrofisica che hanno accertato che le strutture piramidali sono opera creata dalla mano dell’uomo e non dalla natura in quanto la pendeza è artificiale. Inoltre esse presentano terrazzamenti, evidenti sulle prime due (da sud a nord) perché spoglie, mentre l’ultima, quella più a nord è di difficile identificazione in quanto totalmente ricoperta di vegetazione.
La prima piramide o “Collina dei Cipressi”
La prima piramide è chiamata “collina dei cipressi” per via della presenza sulla cima di dodici cipressi che le conferiscono una sacralità senza pari .
Ci si sente come all’interno di un santuario naturale, una pace indescrivibile, un’alchimia di protezione trasmessa dagli alberi distribuiti circolarmente attorno ad un masso di granito.
La seconda piramide o “Belvedere Cereda”
La seconda piramide sarebbe stata utilizzata come osservatorio astronomico dal popolo dei Celti che avrebbero abitato questa zona nel 400/500 a.C. e che sarebbero stati gli ultimi “utilizzatori” della piramide.
Stiamo parlando della piramide più suggestiva, perché più spoglia e che quindi mostra la regolarità dei gradoni assomigliando incredibilmente alla piramide di SAQQARA.
piramide di Saqqara
E’ alta circa 40 metri e alla sua base sono ancora visibili alcuni ruderi, resti di mura che avrebbero circoscritto la collina, identificandolo come “luogo sacro”. Inoltre la cima è perfettamente piatta, caratteristica delle piramidi-santuario che venivano utilizzate come “osservatori” celesti.
E proprio qui, sulla cima vi è la presenza di un muro a secco unico resto del santuario celtico, il popolo che avrebbe riutilizzato la piramide modellata in epoca precedente anche perché non era uso per questo popolo realizzare simili strutture.
E’ un blocco di granito di 7 metri per 1,5 metri a riprova che qui vi era un antico santuario per via della disposizione dello stesso a Nord-Sud secondo quest’asse. La costruzione sacra non esiste più perché le pietre dell’edificio vennero probabilmente reimpiegate per una costruzione che si trova più in basso.
La terza piramide
La terza piramide, quella più a nord è di difficile identificazione essendo completamente ricoperta di vegetazione.
Come le piramidi egizie
Sono orientate a EST e disposte esattamente come le piramidi della piana di GIZA in Egitto, a imitazione della cintura di Orione. Gli egizi creavamo un filo conduttore con il cielo e in particolar modo con questa costellazione perché si potesse, una volta defunti, ritrovare la via di casa. Per gli Egizi Orione era l’immagine celeste del Dio Osiride, colui che avremmo incontrato alla fine del nostro cammino nell’aldilà e che ci avrebbe infine giudicato. Le piramidi erano quella sorta di “meccanismo antico” che avrebbe “lanciato” l’anima sulla giusta strada. Chissà che anche qui in Lombardia non abbiamo sotto i nostri occhi una porta per l’aldilà, un “piccolo Egitto” in un’Italia tanto legata a questa cultura per via dell’innumerevole simbologia nascosta (psicostasi o pesatura delle anime in molte chiese cristiane), e per via dei rituali perpetrati nei secoli dedicati a Iside tanto amata nell’Impero Romano. A completare un rapporto così profondo ci vorrebbero proprio le piramidi. Ad oggi in Italia ne esiste solo una. E’ la piramide di Monte D’Accoddi in Sardegna.
Quando si parla di piramide ci balza alla mente l’Egitto con le sue meravigliose Cheope, Chefren e Micerino, da sempre rappresentanti della parola stessa “piramide” e ben visibili perché il territorio desertico lo ha permesso. Ma sappiamo bene che il nostro pianeta ne è pieno, ultimamente riaffiorate grazie alle indicazioni satellitari dallo spazio, la cui tecnologia ha permesso di effettuare sorprendenti scoperte, una scienza nuova del nostro secolo che permette una nuova visione, quella dall’alto. Siamo coperti di terra, vegetazione e acqua e solo oggi stiamo facendo scoperte impensabili, grazie a questo occhio divino che può vedere tutto e che ha il nome di satellite.